Iconografie Caravaggesche nella vascelleria popolare

di Riccardo Pivirotto

Ceramica Aquesiana

La Pittura “I dipintori … stanno a sedere … e il lavor che si dipinge si tien sui ginocchi con una mano sotto …”

(dal Piccolpasso Li tre libri dell’arte del vasaio)

La ceramica che ha accompagnato l’uomo nella sua evoluzione, contribuì nel medioevo e soprattutto nel rinascimento a sensibilizzare la cultura popolare. Le umili dimore, povere di arredi e di contenuti, furono impreziosite con suppellettili dalla svariata forma e dalla multicolore iconografia. L’uso giornaliero degli oggetti in ceramica era tale che molti cedevano ad altri lo spazio sulla mensa terminando la loro utilità, come spesso accadeva in quel tempo, in depositi temporanei di raccolta o gettati all’esterno delle abitazioni. Oggi a seguito delle attività archeologiche e da rinvenimenti occasionali, si recuperano numerosi depositi ceramici, caratterizzati da singolari produzioni plastiche con decori policromi, i quali ci inducono a riflettere sulla loro origine. Nel sedicesimo secolo le trasformazioni territoriali furono influenzate dalle mire espansionistiche di città contrapposte, gli ottimi rapporti delle importanti casate: Orsini, Farnese e poi Medici, consentì di intensificare gli scambi culturali, artistici e artigianali, dando la possibilità di arricchire il crescente fabbisogno popolare con produzioni ceramiche. In quel periodo la trasformazione storica risentì delle influenze economiche attraverso l’istituzione di nuovi laboratori artigianali, vere e proprie fucine, frequentate da talentuosi artisti che nel plasmare l’argilla esaltavano forme e decori. La ceramica utile alla mensa conventuale e popolare iniziò presto ad assumere socialmente un posto di rilievo entrando in ogni nucleo familiare, tanto che nei nobili palazzi divenne l’elemento insostituibile e persino gli alti prelati esibirono la loro agiatezza, imprimendo nella vascolarità delle forme la propria insegna nobiliare. L’Importante centro di Acquapendente, prossimo alla contea degli Orsini, annoverava in quel periodo una presenza cospicua di mastri vasai, le numerose botteghe, realizzava manufatti di vario genere con decori definiti “popolareschi”. La laboriosa cittadina organizzata strutturalmente attorno all’importante arteria stradale di notevole transito e di raccordo tra i paesi del nord e Roma: la Francigena rese agevole il commercio delle arti figurative, divenendo tappa obbligata per viaggiatori, artisti, alti prelati, nobili Signori e pellegrini.

Stampa della città di AcquapendenteE inoltre favorì l’arrivo di nuovi Magister vasai e figuli, in particolare da Montelupo, Siena e Ravenna e in maniera considerevole da Pesaro. L’inimmaginabile quantità di vasellame prodotta nella città, tra il XVI e XVII secolo, contaminò sia il territorio della “Tuscia” sia il vicino stato della chiesa. Il notaio Pietro Paolo Biondi nel 1588 annotava in un suo resoconto la qualità del vasellame prodotta in Acquapendente “…. de quali sorte d’arte si lavora benissimo, et ha gran spaccio, et li vasi si lavorano di sottile con bianco finissimo ad uso di Faenza, et se ne fa gran spaccio in Roma per le Corte di cardinali et di prelati, li quali mandano a posta in detta terra a farne fare li finimenti” (CHIOVELLI, 1995). Nel vicino Ducato di Castro, portato all’attenzione storica da Alessandro Farnese (Papa Paolo III), fu avviato un restailig strutturale della città, chiamando al progetto il miglior architetto dell’epoca, Antonio Cordini da Sangallo, realizzando in perfetto stile rinascimentale la piazza, la zecca e alcune nobili abitazioni. Nell’anno 1579 il Consiglio di Castro propose ad un artigiano di Acquapendente di esercitare l’arte della vascella presso la loro città “…..Si propone, come un vassellaro da Acquapendente detto Gimignano Stellifero si è offerto venire a mettere l’arte del lavorare delle vassella in Castro,…..” (Doc. h3, ff.190 v.e segg). Nella laboriosa città di Acquapendente con il passare del tempo figuli e vascellari furono attratti dalla crescente richiesta, spostandosi dai centri importanti di Faenza, Firenze, Pesaro, Deruta, e nelle loro botteghe ceramiche raffigurarono i segni distinguibili delle aree di appartenenza.

I tratti decorativi applicati sulla ceramica ebbero in seguito un mutamento oggettivo, pur mantenendo la sua caratteristica primaria, acquisita nella scuola figurativa d’appartenenza, il figulo risentì della nuova esecuzione proposta dalle nobili committenze, trasformando con rinnovata espressione iconografica la propria arte. Nella proficua e vivace bottega artigianale egli rielaborò il decoro, caratterizzato inizialmente da poveri elementi eseguiti con tenui pennellate espresse sulla produzione a smalto e poi, con rinnovato slancio artistico sviluppò il carattere “popolare” con semplici e vivaci policromie. Il ceramista elaborando raffinate “maioliche” raggiunse un certo grado di distinzione tale che lo spinse alla ricerca di successivi mercati, proponendosi in una nuova veste imprenditoriale. Piattello_con_fioreParticolare fu la straordinaria vicenda del vasaio Aquesiano di origini lombarde, Magister Alberto Bonsagna. Nel 1550 salpò da Civitavecchia con un importante carico, composto di circa ventidue some di ceramiche, diretto verso i mercati campani fu catturato nelle acque dell’isola di Capri dal corsaro Zoppinocristiano rinnegato” e di lui si perse ogni traccia. Della triste vicenda possiamo soltanto cogliere come l’estremo gesto di conquistare nuovi mercati abbia definitivamente cancellato una delle importanti botteghe ceramiche di Acquapendente, certamente avviata verso una stimolante evoluzione commerciale. Nelle varie produzioni ceramiche che arricchirono le tavole dei commensali, si distinse il boccale di tipo sferoide con bocca trilobata e ansa a nastro, interamente rivestito all’interno da vetrina trasparente, per un’ottima conservazione dei liquidi, all’esterno fu interamente ricoperto da un ingobbio biancastro su cui applicare il decoro. Oltre i boccali si affermarono ceramiche dalla forma aperta, tra cui i piatti e scodelle, importanti suppellettili della tavola divennero ben presto oggetti da esporre. Nel fondo del cavetto a calotta semisferica presero forma innovativi decori e nel retro furono applicati due fori ricavati a crudo per sostenerli alle pareti, divenendo un nuovo elemento d’arredo nelle povere abitazioni popolari. I caratteristici ornamenti realizzati dalle maestranze ebbero in seguito effettive modificazioni, a una prima produzione decorativa a cerchi concentrici applicati nelle scodelle, si passò sulle tese dei piatti a eseguire ampie pannellate con ornamenti a losanghe, festoni e corone di spine di chiara scuola derutense. Nei vari decori si pose in evidenza, in alcune forme aperte, il decoro dei “tre papaveri”, disposti a ventaglio nel cavetto (Foto tratta da: Tre maestri ceramografi castrensi dalla scuola in policromia su ingobbio, Tav. XXVII, G. Mazza). La loro raffigurazione si evidenziò come un’esortazione alla gioia per la stagione estiva, annunciata dalla nascita spontanea dei rossi papaveri. Le eccezionali rappresentazioni pittoriche del cinquecento, visibili nelle tele e sulle pareti, furono eseguite dai grandi artisti con immagini di vita religiosa e popolare, capaci di emozionare l’osservatore attraverso l’esaltazione dei colori, influenzando in maniera indiretta anche la cosiddetta arte “minore”.

I pittori vascolari, emozionati da tale bellezza, vollero rappresentare con semplice gesto elementi figurativi a mezzo busto, maschili e femminili, compresi tra medaglioni e racemi. Dall’essenziale tavolozza cromatica i figuli svilupparono qualitativamente nuovi modelli ritrattistici, tanto che a Deruta riprodussero nelle forme aperte immagini femminili, stilisticamente attribuibili alla scuola del Pinturicchio e del Perugino (M. Bellini, G. Conti, p.121); in seguito nei centri di Faenza e Casteldurante si affermò nelle forme vascolari la tipologia delle “Belle“, rappresentata da ritratti femminili dei grandi artisti come Filippo Lippi e il Botticelli. Di questa nuova e moderna produzione quantitativa e qualitativa, realizzata a cavallo dei secoli XVI-XVII, il figulo risentì della moderna scuola di pittura, riproducendo nelle ceramiche figure popolari e nobiliari. Questa espressiva tipologia venne ben presto rappresentata nelle forme chiuse entro una cornice bicolore, dove la figura umana è impreziosita tra racemi fioriti gettanti a fontana.

Piatto con BellaLo sviluppo qualitativo permeato dell’armoniosa bellezza della pittura, prese spunto da uno dei maggiori esponenti della pittura, Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571 – 1610), l’omaggio che il grande artista offrì alla luminosità giovanile e alla disponibilità popolare rese vive nei dipinti gli umori di scene consumate nei sobborghi popolari delle città da lui visitate. La figura tipica del “giovinetto togato” (Fig.1, collezione privata) rappresentata su boccali del secolo XVI, si arricchisce di una personalità espressiva tale che, l’acconciatura ordinata a ciocche rigonfie, offre alla luminosità del volto rivolto a destra tratti essenziali di luce e di modulazione cromatica, e le decise pennellate incontrano sull’ampia scollatura la toga tenuta in se dall’opportuno nodo. Il riferimento ritrattistico lo riscontriamo in alcuni suoi dipinti quali: “Il ragazzo con canestro di frutta”, “bacchino malato”, “bacco adolescente” e “il fanciullo morso da un ramarro” (fig.2), opere giovanili del grande pittore, eseguite nel periodo della Roma di Sisto V. Le analogie dei volti espresse dal figulo ceramista confermano nei dettagli la giusta ispirazione luministica che solo Caravaggio seppe dare. I particolari raffronti si notano nei capelli rigonfi del giovane ragazzo, alternandosi nelle volute colorazioni; la figura raggiunta dalla luce posta in alto crea ombre sul volto e sul collo, dove fanno capolino i timidi lobi. Nel mento si evidenzia la piccola rientranza, il mantello adagiato sulle spalle scopre il magro petto e il nodo sulla spalla tiene ben ferma la castità. Lo sviluppo della grande arte segue di solito un cammino tormentato, ma per il grande pittore di Caravaggio, considerato per l’epoca, un “rivoluzionario” seppe, nell’osservare la “naturale” visione della realtà, trasformare l’impianto scenico in un emozionante e coinvolgente istantanea. La scena permeata dalla luce sapientemente usata e il ribaltamento del ruolo di chi la osserva, gettò in un angolo abissale i suoi contemporanei pittori manieristici. Molti furono affascinati dalla sua arte innovativa, sviluppata in un degrado morale nei suoi difficili anni romani, egli umile garzone eseguì i primi dipinti presso il Cavalier d’Arpino, sollevandosi nello spirito e nella tasca. Nel 1591 diede inizio alla schiera di ritratti dedicati, al Bacco ora alla galleria di Firenze, Giovane con canestro di frutta Galleria Borghese di Roma, Il ragazzo morso da un ramarro, della Fondazioni Longhi di Firenze e in fine un suo autoritratto de il Bacchino malato nella galleria Borghese di Roma. In questi primi dipinti dimostrò un innegabile rapporto di predilezione per i soggetti “Popolari”, dopo un lustro di vita misera, passata nelle bettole nei vicini sobborghi con bizzarre amicizie; trovò fama e ospitalità presso il grande mecenate Cardinale Del Monte, il quale lo elevò nell’aristocratico panorama romano. Alla fine del 1606 se ne andò da Roma per altri lidi, braccato dalla legge e dai suoi detrattori, fuggì dalla produttiva parentesi romana, terminando la sua esistenza nel Luglio del 1610 a Porte Ercole. In quegli anni il Merisi lasciò un segno indelebile della sua arte illuministica, della quale rimasero affascinati non solo i numerosi pittori dell’epoca ma anche i figuli Aquesiani, particolarmente sensibili all’arte cosiddetta “maggiore”, riprodussero sui boccali le caste figure caravaggesche.

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BIBLIOGRAFIA

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M.Bellini, G.Conti “Le Maioliche Italiane del Rinascimento” Milano 1964

1 commento

  1. Alberto Piccini

    Caro Pivirotto,
    mi complimento per i contenuti molto interessanti del tuo pezzo e per essere stato tu il primo, fra gli studiosi locali, a pubblicare su questo blog. A proposito del tuo saggio, ho notato che per il piatto da parata con “Maddalena bel(l)a e polita” del Metropolitan Museum di New York (foto n.4 in ordine di inserimento), citi l’attribuzione delle due studiose faentine Fiocco e Gherardi al centro di produzione di DERUTA; posso provare che questa bellissima maiolica è stata cotta ad Acquapendente ed è di mano del grandissimo figulo CRISTO di PIETRO de RUBEIS, originario del Castelllo di Russi in Romagna.
    Sono certo che in futuro, dopo le mie prossime conferenze sulla Maiolica di Aquapendente, non cadrai più nelle trappole degli studiosi “Blablaisti”!!!
    Un saluto
    Alberto Piccini

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